Written by 8:12 Riflessioni

Dalla musica alla finanza, il futuro è già qui

Qualche settimana fa, mentre scrollavo le mie playlist su Spotify, mi sono imbattuto in una band che non conoscevo: i Velvet Sundown. La loro musica mi ha colpito subito: suoni raffinati, testi evocativi, quella giusta dose di malinconia che caratterizza il meglio del dream pop contemporaneo, yeah. Ho fatto quello che facciamo tutti: ho cliccato sul loro profilo, ho visto che avevano già superato il milione di ascolti e ho pensato “interessante, come ho fatto a non averli mai sentiti prima?”. Curiosi? Ascoltate una loro canzone.

La risposta è arrivata qualche giorno dopo, quando ho scoperto che i Velvet Sundown non esistono – non nel senso tradizionale del termine, almeno. Non sono musicisti, ma una band virtuale completamente generata dall’intelligenza artificiale: ogni brano, ogni melodia, ogni sfumatura vocale è il frutto di algoritmi sofisticati che hanno imparato a comporre musica analizzando migliaia di ore di registrazioni umane. OK, ci hanno “trollati“, ho pensato, una burla artistica come tante già viste, a cominciare dalle false teste di Modigliani degli anni ’80. Ma quello che mi ha davvero colpito, però, non è stata tanto la scoperta in sé, quanto il fatto che per settimane esperti di musica, produttori e appassionati si sono interrogati sulla loro autenticità. Discussioni accese sui forum specializzati, analisi tecniche approfondite, tentativi di individuare quei “segni” che dovrebbero tradire l’origine artificiale di una composizione. Niente. L’AI ha raggiunto quel livello di sofisticazione che rende la distinzione tra umano e artificiale praticamente impossibile.

E qui mi sono fermato a riflettere su una questione che, francamente, mi inquieta e mi affascina in egual misura: se non siamo più in grado di distinguere l’intelligenza artificiale dall’estro umano nel campo dell’arte – che rappresenta forse l’espressione più intima e personale della nostra umanità – quanto tempo ci vorrà prima che la finanza diventi completamente una macchina? La musica, dopotutto, è emozione pura, è intuizione, sensibilità, quella scintilla creativa che per secoli abbiamo considerato esclusivamente umana. Se un algoritmo può comporre una canzone che ci emoziona, cosa ci impedisce di pensare che possa gestire un portafoglio di investimenti con la stessa efficacia? In fondo, l’analisi di grandi volumi di dati e la statistica sono molto più facili da gestire da una AI che non le note su un pentagramma.

Nel mio lavoro quotidiano nel settore bancario, osservo già segnali chiari di questa trasformazione: gli algoritmi di trading ad alta frequenza gestiscono volumi di transazioni che nessun essere umano potrebbe mai processare; i sistemi di scoring creditizio analizzano migliaia di variabili per valutare l’affidabilità di un Cliente in pochi secondi e le piattaforme costruiscono portafogli diversificati basandosi su profili di rischio sempre più raffinati. E penso alle piccole e medie imprese del nostro territorio piemontese, che spesso si affidano ancora a rapporti bancari tradizionali… ma in un mondo dove l’AI può comporre musica che ci commuove, quanto tempo passerà prima che possa anche gestire i loro flussi di cassa, ottimizzare i loro investimenti, prevedere i loro bisogni finanziari con una precisione che supera quella di qualsiasi consulente umano? Panico? No, grazie.

La domanda non è più se questo accadrà, ma quando – e soprattutto, come ci prepareremo a questo cambiamento. Perché se una cosa l’ho imparata dalla storia dei Velvet Sundown, è che la rivoluzione è già iniziata e noi continuiamo a chiederci se sia reale o no. Eppure oggi un consulente finanziario può ancora guardare negli occhi il proprio Cliente, percepire le sue ansie, comprendere le sue aspirazioni al di là dei numeri; non si tratta più di capire se l’AI potrà mai replicare l’intuizione umana, ma di accettare che forse l’ha già fatto e noi semplicemente non ce ne siamo accorti. Un algoritmo saprà anche ottimizzare un portafoglio, ma può intuire l’ansia negli occhi di un imprenditore che sta per affrontare un passaggio generazionale? Può cogliere quella pausa di troppo quando si parla di investimenti a lungo termine, spesso segnale di preoccupazioni mai espresse? Secondo me c’è e ci sarà sempre un aspetto che nessun algoritmo potrà mai replicare completamente: la capacità di percepire ciò che il Cliente stesso non sa di cercare o quella di anticipare tutti quei “pericoli” delle scelte non fatte – dalla pianificazione successoria rimandata di anno in anno, alle coperture assicurative inadeguate, alla valutazione patrimoniale mai affrontata a 360 gradi.

Forse è proprio questa la sfida più importante che ci attende: non tanto resistere al cambiamento, quanto ridefinire il nostro ruolo come punto di riferimento umano per decisioni che, alla fine, rimangono profondamente intime e personali in un mondo dove le macchine hanno (ormai già) imparato a sembrare umane meglio di quanto noi stessi sappiamo fare.

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