Nel panorama aziendale piemontese e torinese in particolare, che è quello con cui ho maggiore familiarità e contatto quasi quotidiano, una delle cose che mi ha da sempre maggiormente colpito è che l’operatività spesso si divora lo spazio per la riflessione strategica. Certamente la necessità di far quadrare i bilanci trimestrali scandisce e determina il ritmo delle decisioni, ma spesso ci si dimentica che esiste una dimensione di costo invisibile nei prospetti contabili ma devastante nella sua concretezza, ovvero l’assenza di una visione strategica chiara e condivisa.
Il primo segnale d’allarme è quasi impercettibile: un talento brillante che improvvisamente lascia l’azienda. “Nuove opportunità“, leggiamo nella sua lettera di dimissioni. Ma dietro questa formula si nasconde spesso una verità più profonda: i migliori professionisti non abbandonano le aziende, ma si allontanano dalle visioni incompiute. Un’organizzazione senza direzione strategica è un ambiente in cui le persone di valore percepiscono un soffitto invisibile alla propria crescita e i numeri parlano chiaro: secondo recenti studi, le PMI italiane con una strategia articolata registrano un turnover inferiore del 37% rispetto alle realtà guidate dalla pura operatività quotidiana.
“Non abbiamo tempo per pensare e pianificare, dobbiamo fare!” – quante volte avete sentito questa frase nelle sale riunioni o dai vostri amici o Clienti imprenditori? La pressione del mercato impone rapidità, soprattutto in un mondo come quello contemporaneo che va veloce, molto veloce. Ma confondere la velocità con la fretta ha conseguenze devastanti: spesso si rischia di risolvere l’emergenza di oggi creando le condizioni per quella di domani. Come un medico che cura solo i sintomi ignorando la malattia, l’imprenditore focalizzato esclusivamente sul breve termine accumula interventi tattici che, paradossalmente, rallentano l’organizzazione invece di accelerarla.
Il costo più insidioso della mancanza di visione strategica risiede in ciò che non vediamo perché non accade mai: non parliamo solo di tendenze di mercato intercettate in ritardo, ma di innovazioni che non vedono mai la luce. Le nostre aziende eccellono nella capacità di problem-solving, ma questa qualità si trasforma in limite insuperabile quando risolvere il prossimo problema assorbe tutte le energie intellettuali dell’organizzazione.
Scusate la franchezza, ma la cultura aziendale non si costruisce con le dichiarazioni di intenti o le frasi motivazionali appese in reception, ma attraverso decisioni coerenti nel tempo. In assenza di una bussola strategica, ogni scelta diventa un potenziale elemento di contraddizione e quando i collaboratori percepiscono incoerenza tra ciò che l’azienda dichiara e ciò che effettivamente premia, si innesca un processo di disallineamento di valori che nessun team building potrà mai risanare. Come possiamo chiedere engagement ai collaboratori quando non offriamo loro una direzione chiara verso cui impegnarsi?
La vera sfida non è tecnica ma culturale: dobbiamo imparare a riconoscere che il tempo dedicato a pensare non è tempo sottratto al fare, ma è l’investimento più redditizio che un imprenditore possa concedersi. E proprio quando l’ambiente diventa più turbolento e imprevedibile è che la tentazione è quella di accorciare l’orizzonte decisionale; eppure, è esattamente in questi momenti che diventa cruciale alzare lo sguardo oltre la tempesta. La domanda che ogni imprenditore dovrebbe porsi non è “posso permettermi il tempo per sviluppare una visione strategica?“, ma piuttosto “posso permettermi il costo nascosto di non averla?“