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Quando il lento batte il veloce: il ritorno imprevisto delle newsletter

Non so se anche voi avete l’impressione di vivere in un’epoca di straordinarie contraddizioni digitali: da una parte l’intelligenza artificiale promette di rivoluzionare ogni aspetto della comunicazione aziendale e i social media continuano a tenere in ostaggio l’attenzione degli utenti; dall’altra le newsletter – sì, proprio loro, quello strumento che molti esperti di marketing avevano dato per morto appena qualche anno fa – stanno vivendo una seconda giovinezza che ha poco a che fare con la nostalgia e molto con un cambiamento profondo nel modo in cui vogliamo essere raggiunti dalle informazioni che ci interessano.

I dati del 2025 parlano chiaro: dopo essere state quasi spazzate via dall’avvento dei social, le newsletter stanno tornando al centro delle strategie di comunicazione. E la ragione non sta in qualche moda passeggera o in un momento di nostalgia collettiva per i bei tempi andati, ma in qualcosa che riguarda direttamente il rapporto tra saturazione informativa e qualità dell’attenzione.

Proviamo a fare un passo indietro. L’ecosistema digitale contemporaneo è saturo – e non uso questo termine a caso: la mia casella di posta elettronica è piena, la tua probabilmente anche. Ma non è solo una questione di volume: è che siamo letteralmente sommersi da messaggi, notifiche, contenuti, foto e video che competono per frazioni di secondo della nostra attenzione. Il problema è che in questo caos sono gli algoritmi dei social media a decidere cosa vediamo e quando lo vediamo, mentre noi come utenti diventiamo sempre più passivi. Non andiamo più a cercare attivamente contenuti interessanti ma ci limitiamo a scorrere quello che ci viene proposto, opponendo sempre meno resistenza critica.

L’esempio più banale? Se su YouTube per una settimana clicchi solo su video di calcio, è praticamente certo che YouTube ti proporrà solo più video di calcio. Perché? Semplice: è più alta la probabilità che tu faccia click e YouTube guadagna. In un primo momento questa personalizzazione può anche sembrare comoda, ma a medio-lungo termine – almeno per chi ha ancora un briciolo di curiosità – diventa una gabbia. Ti ritrovi in una bolla informativa sempre più ristretta, dove vedi solo conferme delle tue preferenze iniziali.

Ed ecco che ricompare la vecchia newsletter – perché quando decidi di iscriverti a una newsletter stai compiendo un gesto che pesa molto di più di un like su LinkedIn. Stai validando attivamente la qualità e la rilevanza di quella fonte di informazione, stai dicendo: “Sì, voglio che queste informazioni arrivino nella mia casella di posta“. In un’epoca dove l’attenzione è diventata la risorsa più scarsa – più dell’oro, più del petrolio – questo consenso esplicito ha un valore enorme.

C’è poi un altro aspetto che rende le newsletter particolarmente interessanti in questo momento storico. Una newsletter può essere lunga quanto serve, articolata, riflessiva e non deve sottostare alla tirannia dell’algoritmo che premia i video da quindici secondi o le frasi a effetto. Può permettersi di approfondire invece di semplificare, di argomentare invece di gridare, di costruire ragionamenti invece di sparare proclami che fanno “engagement“. La newsletter restituisce dignità alla comunicazione, permette ai brand di mostrarsi per quello che sono davvero, con la loro complessità, i loro valori, la loro storia unica. Non devi comprimere trent’anni di esperienza imprenditoriale in un testo di tre righe ottimizzato per l’algoritmo.

Ma forse l’aspetto più interessante di questa rinascita delle newsletter è quello che ci racconta sulle trasformazioni più ampie nel rapporto tra imprese e Clienti. Stiamo assistendo a una richiesta crescente di autenticità, di sostanza, di relazioni genuine e le persone sono stanche di essere bombardate da contenuti superficiali, di essere trattate come semplici metriche in una dashboard di analytics, di ricevere messaggi che sono palesemente ottimizzati per gli algoritmi invece che pensati per esseri umani.

Questa stanchezza è trasversale. Colpisce i giovani che pure sono cresciuti con i social, colpisce i professionisti sommersi di notifiche, colpisce gli imprenditori che vedono sempre più pubblicità e sempre meno contenuti di valore. C’è una domanda di autenticità che sta emergendo con forza, e le newsletter – paradossalmente – sono lo strumento (vecchio) che risponde a questa esigenza nuova.

Il ritorno delle newsletter non è quindi un semplice trend di marketing da cavalcare fino alla prossima moda. È l’opportunità di ripensare in modo più profondo come comunichiamo con le persone che ci interessano davvero. È un invito a rallentare in un mondo che corre sempre più veloce, ad approfondire in un contesto che premia la superficialità, a costruire relazioni nel tempo in un’epoca ossessionata dai risultati immediati. E per chi ha qualcosa di sostanziale da dire – per chi ha una storia vera da raccontare, un’esperienza da condividere, una competenza da mettere a disposizione – questo è il momento giusto per ricominciare a scrivere. Non post, non stories. Newsletter, Slow Communication.

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