In un panorama economico italiano frammentato in oltre 4 milioni di PMI, con la presenza all’orizzonte – sempre più vicino, di colossi mondiali dell’automazione e dell’Intelligenza Artificiale, come possiamo (o dobbiamo?) ripensare la nostra naturale ambizione di crescita in un contesto di risorse finite?
La narrativa convenzionale sul “pensare in grande” è piena di immagini di crescita esponenziale, conquiste spettacolari e successi strabilianti. Ma nell’era della consapevolezza dei limiti planetari e delle sempre crescenti diversità sociali ed economiche, è tempo di riconsiderare cosa significhi veramente avere ambizioni elevate. Non si tratta di abbandonare i grandi sogni, ma di ridefinirli in un contesto di complessità e responsabilità.
Il primo ostacolo al pensiero veramente ambizioso è la nostra tendenza a concepire il successo su una scala lineare: più ricchezza, più riconoscimento, più potere. L’economia tradizionale ci ha abituati a misurare il successo attraverso metriche mono-dimensionali: fatturato, quote di mercato, marginalità – ma questa concezione lineare sta mostrando tutti i suoi limiti strutturali. È una visione che ci imprigiona in un sistema di valori che, paradossalmente, limita la nostra capacità di innovare e generare impatto duraturo. Chi ha davvero rivoluzionato il mondo non ha semplicemente scalato modelli esistenti, ma ha ripensato i fondamenti stessi dei problemi che affrontava: penso a Oscar Farinetti che con Eataly non ha semplicemente creato un’altra catena di distribuzione alimentare, ma ha ripensato completamente l’esperienza d’acquisto del cibo italiano, combinando vendita, ristorazione e cultura in un unico spazio. O pensiamo a Marc Randolph, co-fondatore di Netflix, che ieri ho avuto il piacere di ascoltare alla convention di Banca Mediolanum a Torino. Quando tutti i giganti dell’intrattenimento (Blockbuster) erano ancorati al modello fisico della distribuzione, Randolph ha avuto l’intuizione di spostare l’attenzione dal “prodotto” (il DVD) al “bisogno” (l’accesso ai contenuti). Questa capacità di riformulare il problema – piuttosto che ottimizzare le soluzioni esistenti – rappresenta l’essenza dell’ambizione trasformativa: Randolph non ha semplicemente “battuto” Blockbuster giocando allo stesso gioco, ma ha cambiato le regole del gioco stesso, dimostrando che la vera innovazione spesso richiede il coraggio di abbandonare paradigmi consolidati per navigare verso territori inesplorati.
In un mondo saturo di informazioni e innovazioni incrementali, il pensiero veramente ambizioso è spesso orizzontale piuttosto che verticale: non si tratta di fare meglio ciò che già esiste, ma di trovare connessioni inaspettate tra domini apparentemente scollegati; e chi pensa in grande sa vedere le congiunzioni ancora inesplorate tra tecnologia e artigianato, tra scienza e tradizione, tra efficienza e bellezza, e costruire ponti tra mondi separati. Le imprese italiane più lungimiranti stanno già navigando questa transizione: prendiamo il caso del distretto tessile di Prato, dove alcuni produttori hanno abbandonato la corsa ai volumi per abbracciare modelli circolari, trasformando gli scarti in nuova materia prima e creando valore dove prima c’era solo costo. Non stanno semplicemente “facendo meglio” – stanno ridefinendo cosa significhi fare impresa nel settore tessile.
Il mito dell’imprenditore solitario che conquista il mondo con la pura forza di volontà è una narrazione seducente ma che appartiene al passato. Il pensiero veramente grande oggi è inevitabilmente collaborativo e distribuito perché i problemi complessi che affrontiamo richiedono intelligenza collettiva e la capacità di orchestrare diversità culturali.
In sostanza, pensare in grande significa avere il coraggio di sfidare le regole esistenti per creare qualcosa di nuovo e migliore, con una sorta di “disobbedienza intelligente“: significa rifiutare i confini arbitrari che limitano la nostra immaginazione collettiva e proporre alternative coraggiose ai paradigmi dominanti. La vera ambizione non si misura in euro – o, peggio ancora, in followers – ma nella profondità della trasformazione generata e nella sua capacità di durare nel tempo.