Dopo le vacanze, ritorno a Torino, la mia città. Una città che amo e di cui non parlo mai abbastanza e che forse nemmeno noi Torinesi conosciamo bene, nascosta tra tradizione industriale e architettura barocca, dove l’energia imprenditoriale non si ferma mai completamente. Torino per me rappresenta un microcosmo delle trasformazioni economiche contemporanee: da capitale dell’automobile a hub di tecnologia e sostenibilità, sempre mantenendo quella solidità pragmatica sabauda che caratterizza l’imprenditoria piemontese – una specie di ponte naturale tra la manifattura tradizionale e l’economia digitale.
Dopo le Olimpiadi invernali del 2006, la città è cambiata molto e passeggiando in centro in questa ultima settimana di Agosto, si incontra una moltitudine, quasi esclusiva, di turisti stranieri che ancora ci sorprende. Certo, Torino è cambiata e non è più la capitale (grigia e fumosa) dell’automobile. Ma questa trasformazione non è stata casuale: abbiamo saputo leggere i segnali deboli del cambiamento molto prima che diventassero evidenti e le nostre università, centri di ricerca, incubatori e aziende tradizionali hanno creato un ecosistema di innovazione che oggi rappresenta un modello per molte altre realtà industriali europee alle prese con sfide simili.
Torino sta continuando a reinventarsi senza perdere la propria identità e le aziende che oggi prosperano nel panorama post-industriale torinese sono quelle che hanno saputo mantenere il rigore metodologico della tradizione manifatturiera applicandolo a sfide completamente nuove, sopravvivendo alle grandi crisi dell’automotive e della produzione industriale in generale degli ultimi decenni.
C’è qualcosa di profondamente rassicurante in questa capacità di adattamento senza smarrimento. In un mondo che spesso celebra il cambiamento fine a se stesso, Torino ha dimostrato che esiste una via alternativa: quella dell’evoluzione consapevole, dove il cambiamento diventa una forma di continuità intelligente piuttosto che una rottura traumatica con il passato.
Torino mi ricorda ogni giorno che il futuro non si conquista abbandonando le proprie radici, ma trasformandole in ponti verso nuove opportunità. Per noi professionisti, in un’epoca di trasformazioni profonde, questa è forse la lezione più preziosa: non temere il cambiamento, ma guidarlo con la saggezza di chi sa da dove viene e la visione di chi sa dove vuole andare.