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Se l’obsoleto diventa innovativo

Ieri ero in centro a Torino con un amico e sua figlia e a un certo punto della nostra passeggiata lei ha voluto entrare in un negozio di dischi per comprare un vinile di Taylor Swift. Un vinile?? Nell’epoca di Spotify, dello streaming perenne, dell’iper-connettività e della digitalizzazione globale? Eppure…

Mi sono documentato e i numeri parlano chiaro: il valore attuale del settore dei dischi in vinile a livello globale nel 2025 è di circa 3,2 miliardi di euro, con una crescita costante negli ultimi anni e una previsione di ulteriore aumento nei prossimi anni. In Italia supera i 30 milioni di euro e negli USA le vendite hanno superato quelle dei CD per il terzo anno di fila. OK, ho incassato il colpo: Gen Z 1️⃣ – Boomer 0️⃣.

La verità è che nonostante la comodità dell’accesso istantaneo a milioni di brani sembrava avesse reso obsoleto qualsiasi supporto fisico, proprio mentre la musica diventa sempre più immateriale, cresce la domanda per il formato più fisico e “scomodo” che esista. Questo perché in mercati completamente digitalizzati, la fisicità non solo mantiene valore, ma può diventare un plus-valore. Il vinile non compete con Spotify sulla convenienza o sulla praticità, compete su dimensioni completamente diverse: l’esperienza tattile, il rituale dell’ascolto, l’oggetto da collezione, l’artwork di grandi dimensioni, il suono analogico che molti descrivono come “più caldo”. Non è forse per lo stesso motivo che continuiamo a leggere libri di carta? Il piacere di sfogliare la pagina e il profumo della carta stampata sono sensazioni che un ecologico e pratico Kindle non hanno ancora saputo sostituire.

Questa dinamica rivela anche una verità economica che troppo spesso dimentichiamo nella fretta della trasformazione digitale: l’eliminazione di una tecnologia non significa necessariamente la morte del bisogno che quella tecnologia soddisfaceva. Spesso significa l’apertura di uno spazio di mercato per chi sa reinterpretare quel bisogno in chiave contemporanea. Certamente, il vinile di oggi non è lo stesso prodotto degli anni Settanta: è un oggetto di design, spesso colorato o con pattern speciali, confezionato con cura maniacale, commercializzato come esperienza premium (e venduto a prezzi che riflettono questo posizionamento).

Ma i giovani che comprano vinili non lo fanno per nostalgia di un’epoca che non hanno vissuto, ma perché cercano qualcosa che lo streaming non può offrire: la possibilità di possedere fisicamente la musica che amano, di trasformare l’ascolto in un rituale sociale, di supportare “concretamente” gli artisti che seguono. Mentre su Spotify possono accedere istantaneamente a qualsiasi brano, il vinile li costringe a scegliere, a investire economicamente e emotivamente in un album, a dedicare tempo all’ascolto completo. Questa limitazione diventa il valore aggiunto per dei consumatori saturi di opzioni infinite.

L’innovazione non significa solo sostituzione completa del vecchio con il nuovo, ma anche capacità di far convivere tecnologie apparentemente incompatibili, ognuna ottimizzata per soddisfare bisogni diversi. Spotify è perfetto per la scoperta musicale e l’ascolto quotidiano, il vinile eccelle nel creare momenti speciali e nel costruire una collezione personale significativa. In un’economia sempre più digitale, il valore della fisicità non scompare mai completamente: si trasforma, si raffina, trova nuove nicchie dove prosperare – e quando la ragazza è uscita dal negozio con il suo vinile di Taylor Swift, tenendolo come un tesoro tra le mani, ho capito che non stava comprando solo musica, ma un pezzo di futuro che sa valorizzare il passato.

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