Forse qualcuno di voi ha già sentito parlare della Legge di Cunningham, che recita: “il modo più veloce per ottenere una risposta corretta su Internet non è fare una domanda, ma postare una risposta sbagliata“. Questo principio ha trovato una delle sue manifestazioni più dannose nell’ecosistema della finanza contemporanea. Nel nostro mondo infatti assistiamo quotidianamente sui social a una dinamica paradossale: fai una domanda genuina in un forum o su un social per capire mercati e investimenti e non ti risponde nessuno; scrivi qualcosa su un investimento e si scatenano immediatamente una valanga di dotti, medici e sapienti con correzioni, dibattiti e, soprattutto, errori che si propagano esponenzialmente.
Basta scorrere qualche minuto sui social per imbattersi in una valanga di consigli di investimento pronunciati con la sicurezza di chi ha scoperto il Santo Graal e la competenza di chi ha appena installato la prima app di trading. Il fenomeno non è nuovo, ma la sua scala e velocità di diffusione rappresentano un rischio che va ben oltre le perdite di qualche risparmiatore ingenuo, soprattutto per via della facilità con cui chiunque può pubblicare contenuti e dalla tendenza degli algoritmi a premiare l’engagement piuttosto che l’accuratezza delle informazioni. Su TikTok o Facebook, un diciottenne con cinquanta euro investiti in crypto e un minimo di dimestichezza con il digital marketing può raggiungere più persone di un analista con vent’anni di esperienza, semplicemente perché le sue previsioni azzardate generano più interazioni di un vecchio (se hai 20 anni di esperienza, sui social sei vecchio) che cita il Sole24Ore o Milano&Finanza.
Non a caso assistiamo alla nascita di una generazione di investitori che considera normale aspettarsi rendimenti del 500% in pochi mesi, che interpreta la volatilità come un gioco da casinò, e che sviluppa strategie finanziarie basandosi su meme e sentiment analysis di forum online piuttosto che su principi economici consolidati. È come dare le chiavi di una Ferrari a chi ha appena preso la patente: la tecnologia è straordinaria, ma senza le competenze per usarla diventa pericolosa e la speculazione mascherata da investimento diventa la norma, alimentata da una narrativa di facili arricchimenti che trova terreno fertile nell’attuale contesto economico di incertezza e stagnazione salariale.
La situazione diventa surreale quando consideriamo l’effetto rete di queste piattaforme social: un cattivo consiglio di investimento non rimane confinato a una cerchia ristretta, ma può raggiungere decine di migliaia di persone in poche ore, creando movimenti di mercato artificiali che sembrano validare la strategia iniziale. Il problema si amplifica da noi in Italia, dove la cultura finanziaria di base è storicamente limitata e dove stiamo assistendo a un salto generazionale brutale: si passa dalla nonna che teneva tutto nel libretto postale al nipote che investe in NFT senza passare dal via – siamo in mezzo all’oceano durante una tempesta e stiamo guardando un tutorial di YouTube per imparare a nuotare.
Con questo non voglio fare il guastafeste della democratizzazione finanziaria: gli strumenti digitali hanno effettivamente abbassato le barriere d’ingresso e creato opportunità di diversificazione che prima erano riservate solo a investitori istituzionali. Il problema non è che tutti possano investire, ma che molti lo facciano pensando che sia un videogioco invece che una decisione che può influenzare il loro futuro economico. Paradossalmente, in un’epoca di accesso illimitato all’informazione, la competenza più preziosa non è imparare a individuare il prossimo investimento vincente, ma sviluppare la capacità di riconoscere e ignorare il rumore che impedisce decisioni razionali e sostenibili nel tempo.